TALES OF ADDICTION AND DESPAIR
-EP-
I nostrani
Blood Red Water si delineano come uno tra i più affascinanti e, sicuramente,
promettenti, gruppi della scena underground italiana, e, grazie a questo EP,
mettono in luce una originalità d’intenzioni ed una capacità di composizione
degne di nota fin dagli inizi della loro carriera artistica. La band, di
origine veneziana, si forma nell’estate del 2010 grazie a Michele (il cantante,
ex membro di band grindcore quali NAB e Grunter Screams) e Fiorica (ex
bass-player, ora alla batteria), due amici di vecchia data uniti dalla passione
per lo sludge metal ed intenti a creare qualcosa di malato. La band
registrerà poi l’ingresso di Francesco come chitarrista, immediato, e quello di
Lorenzo Petri, alias Tarantula, come bassista, più tardivo, per porre così,
finalmente, le basi di un comune progetto, proprio ed originale. Il risultato,
nonché loro prima opera, che vedrà la luce del sole, dopo quella artificiale
della sala prove, nel 2011, sarà un EP, dal titolo “Tales of addiction and despair” (titolo che, già di per sé, è
tutto un programma), il quale si comporrà di cinque tracce, per una durata
totale di 25 minuti. Fatta questa
premessa, il genere che ci viene proposto dai BRW in questo loro lavoro non è
nulla (come spesso accade per i lavori sopra la media e di pregevole fattura) di
facilmente etichettabile: c’è chi dice doom, chi stoner, e chi sludge, e la
stessa band, tra le proprie maggiori influenze, cita gruppi che variano
notevolmente di stile, dal doom (quasi heavy) dei St.Vitus fino allo sludge
misto hardcore punk proveniente da New Orleans, e, nel caso, firmato dagli
Eyehategod. A parere di
chi scrive, l’intero EP è intriso di tutte queste sfumature, che, su una strada
tracciata da forti distorsioni di chitarra e di basso, si rincorrono e si
mischiano ad un tempo stilistico tipicamente punk cadenzato dalla batteria, con
l’unico fine di alienare e soffocare l’ascoltatore, rinchiudendolo in una
prigione colma di fango e sporcizia. Andando ad
esaminare le tracce singolarmente, reminiscenze riconducibili anche ad
ulteriori, rispetto a quelli già citati, generi musicali non mancano: è questo
il caso di Ungod, la prima traccia,
la quale per tutto il primo minuto (il quale potrebbe anche considerarsi un
intro a sé rispetto a tutto il resto dell’EP) ci riporta alla mente sensazioni
in pieno stile doom metal, con una certa tendenza verso il funeral doom, tipico,
fra le altre, di quella scena un po’ depressiva dell’underground australiano
(Abyssmal Sorrow, tanto per citarne uno); la chitarra, ma soprattutto il basso,
grazie alla sua quarta corda, pesantemente distorti, vengono suonati ad un
tempo molto lento (una nota ogni quattro battute), contribuendo così a creare un
alone nero che pare pronto ad avvolgere tutto, mentre la batteria si limita a
fare da metronomo. Passato
questo primo minuto, la traccia si reinserisce su binari tipicamente
doom/sludge, che non abbandonerà più fino alla conclusione dell’EP; la
batteria, non più minimale, inizia a scandire i tempi, si inserisce il cantato
in pieno stile hardcore punk, mentre gli strumenti, costantemente distorti,
continuano a creare un’atmosfera soffocante. C’è, in ogni caso, da registrarsi
il dato per cui questa prima traccia manterrà una sofferenza ed una oscurità
non tanto facilmente riscontrabili in altra traccia di “Tales of addiction and despair”, se non, comunque, in maniera meno
visibile, verso la fine del quarto brano. Molto suggestivo il passaggio di
basso intorno al minuto 4:10. La seconda traccia,
“Consideration/Commiseration”, è
maggiormente riconducibile alle loro radici, e, probabilmente, a ciò che hanno
voluto comunicare con questo EP: il drumming si fa più costante, gli strumenti
comunicano una maggiore energia, e la sei corde inizia a prendere maggiormente
piede, suggellando il proprio “dominio” sonoro nella terza traccia, “Avoid the Relapse”. In questo brano
risalta maggiormente una inclinazione verso uno stoner metal riconducibile agli
Acid Bath, il cantato non è più gridato, ma è disegnato da una voce roca, hard-rock
style, e tutto lo spirito della canzone, forse esagerando un po’, presenta una
vena rock’n’roll, dipinta da dei riff di chitarra non più spessi e laceranti,
come ci insegna la scuola del classico doom metal, ma più veloci e leggeri, al
tempo di un drumming sicuramente più dinamico rispetto alle tracce precedenti,
ed il tutto accompagnato e “riempito”, per così dire, dal basso, che fa sempre
la sua parte, molto bene, e si fa sentire. Unica pecca,
forse, è che, esaminando la canzone da questa prospettiva, l’ultimo minuto
della stessa, che, negli intenti, voleva farsi riconoscere come più aggressivo
e sporco rispetto al resto della traccia, coadiuvato da una voce che torna ad
essere gridata, mal si amalgama al resto della struttura del brano, e risulta,
di conseguenza, un po’ forzato. Anche se, probabilmente, si tratta di una
critica più dettata da una sfumatura di gusto personale che da un vero difetto strutturale
della traccia. Il quarto
brano, “Modern Slave Blues”, torna ad
ambientazioni più soffocanti rispetto alla traccia precedente, e più
riconducibili a “Consideration/Commiseration”,
con la differenza, però, rispetto a quest’ultima, che qui la batteria detta
un tempo più costante e massiccio, meno ritmato, ed il cantato si fa, secondo
dopo secondo, sempre più marcio e sporco, mentre la chitarra, dapprima sovrasta
sonoramente (chiaramente, per scelta) tutte le altre sensazioni acustiche, e
poi, nel finale, si lascia andare a malate distorsioni. Il tutto culmina in un
risultato, come prima anticipato, che si interseca e si riallaccia al primo
brano. “Modern Slave Blues” è forse,
ma anche con buona probabilità, la traccia più cinica dell’EP. EP che,
quindi, si chiude con la traccia, dal nome, già di per sé, molto esplicativo, “The Perfect Mix”. In quest’ultimo brano
avviene la sintesi di tutte le componenti sopra citate: riconosciamo un intro
sporco e infangato degno del miglior Doom/Sludge Metal, il cantato in stile
hardcore punk, gridato, ma anche teso e tirato molto più che nel resto dell’EP,
ed improvvisi cambi di ritmo e “schitarrate” tipiche dell’Alternative Metal. Ma
soprattutto arriva, come un fulmine a ciel sereno, al minuto 2:08, una combo
che è propria e caratterizzante, per lo più, della scuola black metal: dapprima, un cantato che diventa quasi scream, lacerante e sofferente come mai prima nell’EP, chitarra e
basso distorti all’inverosimile, tempo tenuto da un drumming violento ed
incessante, e poi, improvvisamente, dopo 20 secondi pieni, arriva uno stacco
dove la batteria torna a fare solo da metronomo, si sentono, nel solo
sottofondo, pesanti distorsioni, mentre Michele inizia a coprire tutti i suoni
con ciò che, più di tutto, sembra un dolorante monologo. Da quel momento in poi
la traccia riprenderà i connotati tipici dello sludge metal per condurci, nei
restanti ultimi tre minuti, tramite spessi ed infestanti riff di chitarra, alla
conclusione dell’EP. Da citare, qui, l’opera di Fiorica, poiché la batteria si
dimostra all’altezza di una traccia tanto eclettica, così come è pure da
citare, per amore, oltre che della musica, anche del cinema, il monologo sul
vestito rosso di Ellen Burstyn in “Requiem For a Dream” di
Aronofsky, che chiude, come meglio non si poteva, questo lavoro. Tutte queste
cose considerate, e, tirando le somme, si può dire che i BRW hanno realizzato
un lavoro di pregio, non particolarmente innovativo ma brillantemente
originale, non incredibilmente tecnico ma dannatamente efficace, dove
l’ascoltatore, se riuscisse a farlo, respirerebbe fango e lerciume. Più di
tutto, ci sono, eccome, idee a sufficienza, ed una capacità di scriverle
notevole, nonchè un’abilità di tradurle in realtà ammirevole, tanto più
considerando che questo è un EP completamente auto-prodotto. Di conseguenza, il
voto a questa loro prima opera non potrebbe che essere positivo, e, oltre al
consiglio, per tutti i fan dello Sludge, di non perdersi questo lavoro, anche
un in bocca al lupo ai BRW per i loro futuri progetti, se lo meritano
voto: 7.5/10
01.Ungod
02.Considerations/Commiserations
03.Avoid the relapse
04.Modern slave Blues
05.The perfect mix
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